Specie immortale (1969) by Wilson Colin

Specie immortale (1969) by Wilson Colin

autore:Wilson, Colin [Wilson, Colin]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fantascienza, Urania
editore: Mondadori
pubblicato: 2000-12-30T23:00:00+00:00


Fu quasi subito dopo questo episodio che Littleway cominciò a sviluppare la capacità della “visione tempo”. Credo per il fatto che, non so come, glie ne avevo indicato il modo. Stanco al mio diario fu proprio dal tre giugno di quell’anno che passò due giorni in camera sua, facendosi persino portare il cibo. Il secondo giorno, alle undici di sera, bussò alla porta della mia stanza. Gli chiesi: — Dove siete stato? — e voleva essere un saluto.

Rispose: — A zonzo per il passato.

Non dissi nulla. Si sedette sulla poltrona accanto alla finestra. Era una notte chiara, dolce e insolitamente calda. Il cambiamento in lui era il più evidente che avessi mai notato dopo Natale; il suo sguardo si era fatto profondo e contemplativo. Mi raccontò quello che gli era successo. Il contatto con la figurina di basalto lo aveva convinto che la “visione del tempo” è una dote ordinaria e potenziale del cervello umano. Era quanto bastava perché io potessi proseguire su quel tono: tutti gli uomini posseggono “già” quei poteri, così come possiedono, lasciatemelo dire, il potere di salire su una bicicletta. Però prima che venisse inventata la bicicletta, doveva sembrare impossibile, con un’evidenza lapalissiana, che qualcuno potesse bilanciarsi in equilibrio su due ruote. Littleway aveva passato la giornata a cercare di “intuire” l’età dei vari oggetti della stanza, le prime con una deludente serie di insuccessi, e poi, circa verso le due del mattino, quando già si sentiva sfinito e scoraggiato del tutto, il successo gli aveva arriso, mentre stava fissando la figurina di basalto (è sintomatico che fino a quel momento avesse tentato con oggetti più recenti, convalidando così la tesi che è più facile “vedere” le epoche più remote). Aveva tanta paura di perdere la facoltà che rimase sveglio fino all’alba, provando e riprovando su tutto ciò gli capitava a tiro, comprese le pietre del muretto del giar dino. Dormì per buona parte del giorno dopo e quando si svegliò, scoprì che il potere si era “consolidato” e che con uno sforzo poteva vedere il fabbricato della casa nel XIII secolo. Poi, come un uccellino che ha appena imparato a volare, aveva trascorso tutta la sera a puntualizzare vari periodi della storia. Dato che era stato affascinato al pari di me dal problema di Bacone, si era concentrato sul periodo elisabettiano, con un successo immediato, scrivendo i suoi appunti personali, e fu di particolare interesse per me sentire che riteneva di aver veramente veduto Shakespeare in una specie di taverna. Descrisse il luogo come un locale col pavimento in terra battuta e un albero che cresceva al centro della stanza. Precisò che c’era della sabbia sparpagliata per terra, e fu anche in grado di fornire il particolare che vi era stato trasportato con un carro da una piazza nei pressi dell’attuale Southend, e che la latrina, nel cortile posteriore consisteva unicamente in un buco scavato nel terreno e ricoperto con una tavola di legno. Gli dissi di descrivermi Shakespeare fisicamente; e rispose che era più



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